Resina di un certo livello...

venerdì 1 aprile 2011

Alternative n.1


Ho pensato a come spesso (quasi sempre a dir la verità) il concetto di scienza venga abusato, stressato in un senso o in un altro. E allora se da una parte vecchi bavosi ti tirano dietro il principio scientifico metodologico come un esclusivismo quasi religioso quasi con l'intenzione di escludere sempre più nuovi modelli e concetti, dall'altra ci sono tutti quei rimbambiti che di scienza non sanno nulla, neppure i principi generali e reclamano “l'attestato” di scientificità per qualsiasi idiozia la loro mente produca. Tra l'uno e l'altro, per fortuna, c'è una terra di confine che può farci quasi da conforto, quasi da ultima speranza; troviamo la “fringe science”, la scienza spinta ai confini della scienza stessa, con l'obbiettivo di mettersi in gioco, di essere spregiudicata e disarmante, con l'obiettivo di andare avanti rispetto i vecchi canoni scientifici mantenendone tutta l'identità. Insomma, datemi un'idea e vediamo cosa si può fare... E allora gli “Alternative” saranno articoli di scienza di confine, ragionamenti al limite dell'opinabile, ma sempre con un piede in terra... Ah, per inciso: dalle teorie più ardite non sono nati i ciambelloni della nonna Alvara, ma i fondamenti delle più moderne teorie, i cardini della nostra modernità. Buona lettura.

Una delle nostre (in occidente) eredità filosofiche dei secoli passati più ingombrante è senza dubbio il dualismo mente-corpo: ce la portiamo dietro nelle espressioni idiomatiche, nei riti culturali, nelle religioni e spesso persino nelle pubblicità commerciali. Nonostante sia un principio ormai sull'onda dell'estinzione, ci troviamo ancora vincolati a tutti quei retaggi che vedono il pensiero/coscienza/mente/personalità radicalmente svincolato dal corpo. “Sinceri: chi si identifica nell'unghia dell'alluce del piede destro? Ancora, ancora, con la testa, ma non con l'unghia dell'alluce...”. Siamo noi, e poi tutto il resto che comprende peli, unghie, piedi, mani ecc ecc. Per fortuna negli ultimi decenni abbiamo dato un fondamentale smacco a tale concezione (almeno in ambito accademico) portando numerose prove a favore dell'indissolubilità tra mente e corpo, tra l'uno e l'altro... L'esempio ormai classico è la depressione: un depresso non è tale fisicamente e non mentalmente, come non lo è mentalmente senza esserlo anche fisicamente (e per “fisicamente” intendo a livello neurobiologico e fisiologico): un depresso manifesta specifiche alterazione neurotrasmettitoriali e, allo stesso tempo, una specifica sintomatologia psicologica e comportamentale, con ricorsi di pensiero riscontrabili in altrettanti specifici momenti, e così via... Ma, lasciando da parte il povero depresso, se un individuo è tale in quanto compresenti aspetti fisici e mentali, non sarebbe inopportuno a questo punto continuare a parlare di “coscienza” come una caratteristica puramente mentale? A questa domanda ci sono divisioni nette nelle risposte, una è: “si! Mandate a quel paese ogni tipo persistenza filosofica e psicologica e concentratevi unicamente sulla biologia, corpuscoli e nothing more”. L'altra risposta in genere è: “no! Scusa ma come faccio a parlare di persona se prendo in considerazione soltanto i corpuscoli e nothing more? È ovvio che la biologia sia solo un supporto fisico alla coscienza e ai processi di pensiero di una persona.”. Vi ricorda nulla? Lo so, abbiamo detto che abbiamo superato il dualismo mente-corpo, e invece evidentemente non è così. Diciamo meglio: pensavamo di averlo superato. Si perché le teorie comprensive di oggi (non nel senso di caritatevoli eh) non sono affatto comprensive, non sono affatto unitarie, ma tendono a distinguere proprio come hanno sempre fatto da secoli a questa parte, se non con una finezza maggiore. Dunque, dove voglio arrivare? Voglio arrivare al fatto che l'individuo è uno, e solo uno, dalla sua biologia, dalla rottura di molecole di ATP, fino alle sua psicologia, fino al suo senso di rammarico, alla scelta di quali pelati usare per cena o alle sue opere creative. Però, se davvero crediamo in questo principio mi sa che di problemi ce ne troviamo parecchi nella scienza moderna... è vero che cerchiamo l'integrazione dei modelli, ma è anche che vero le ricerche scientifiche non possono mica essere omnicomprensive: se devi studiare il fegato non puoi mica prendere in considerazione tutta la storia comportamentale del soggetto e tutto quello che ha fatto nell'arco della sua esistenza, quello che ha ingerito e (secondo ardite teorie) quello che pensa del suo stesso organo. E così se volessimo studiare la coscienza, non potremmo mai prescindere dal suo stato di organicità. Però esiste la prova del nove... Da un po' di anni esistono le reti neurali, e questo lo sanno pure i bimbi. Ogni rete è costituita da una cellula informatica (che può essere un computer o un insieme di bit, in base al tipo di rete) che simula l'operato di un neurone o un insieme di neuroni. Così facendo, raggiungendo un gran bel livello di complessità, è possibile rendere il programma in questione altamente sofisticato e soprattutto plastico (ovvero in grado di apprendere e di agire o scegliere in base a scelte o azioni già fatte). La sofisticatezza odierna di tali programmi è buona ma se parliamo di coscienza dobbiamo, credo, fare un bel passo in avanti. Immaginiamo di aver sviluppato sistemi hardware in grado di sostenere il numero di un gran numero di calcoli; ora immaginiamo di essere riusciti a replicare informaticamente le diverse forme di cellule neuronali, i diversi raggruppamenti, e quindi le diverse funzionalità. Bene: questo sarebbe il sistema informatico più semplice possibile in grado di riprodurre (o ospitare) una coscienza. Perché il più semplice possibile? Perché non terrebbe conto del fatto che il sistema non si crede (e con “crede” non intendo tanto un concetto ma una serie di vincoli strutturali che fungano da feedback) un sistema biologico. Ma supponendo di essere in grado di inserire anche questo parametro, ovvero una serie di feedback che diano la stessa consistenza, lo stesso vantaggio e gli stessi svantaggi che avrebbe un sistema biologico quale il cervello, saremmo si in grado di produrre un sistema di molto vicino a quello autentico, ma non ne sarebbe la stessa copia. Questo perché per riprodurre un sistema informatico che risponda esattamente come quello biologico forse dovremmo essere anche in grado di riprodurre (sempre informaticamente) tutti gli organuli e le proteine, così come il corpo che circonda il cervello e l'ambiente che circonda il corpo. Però non esageriamo dai. Freghiamocene di queste complessità, almeno qui, e diciamo che siamo riusciti a produrre un sistema informatico in tutto simile al sistema neuronale dell'intero cervello (di uno a caso). La domanda è: potremmo a quel punto trasferirci una coscienza? Ovvio che se siamo riusciti (sempre in un ipotetico futuro) in un lavorone del genere figuriamoci se non siamo in grado di “mappare” l'insieme di reti cerebrali di un individuo. Probabilmente, a quel punto, per sapere se la coscienza sia determinata unicamente dall'insieme delle cellule cerebrali e dalla loro attività di scarica (ovvero l'attività conosciuta ad oggi), il trasferimento in un sistema informatico come quello descritto sopra dovrebbe essere sufficiente per riprodurre in tutto e per tutto la coscienza del poveraccio a cui è stato mappato il cervello. Prove del nove insomma... Staremmo apposto... Tutto risolto: la coscienza è determinata dalla struttura (disposizione) e attività delle cellule cerebrali, una loro alterazione provoca un'alterazione della coscienza dell'individuo, o un cambiamento nei suoi processi decisionali e così via... Ma, probabilmente, la cosa interessante avverrebbe nel caso in cui il risultato fosse ben diverso da quello osservato nell'individuo “mappato”, si perché a quel punto significherebbe che né la disposizione cellulare (ed occhio perché la disposizione dei neuroni è fondamentale nelle reti cerebrali, cambiando per esempio in base a processi di pensiero, o recuperi da lesione) né la funzione stessa delle cellule è componente sufficiente per il prodotto finale quale può essere Franco, Giovanni o chi per loro. A quel punto la soluzione potrebbe trovarsi in due posti: o all'esterno del cervello (qualcuno ha detto unghia del piede?) o all'interno dei neuroni, in quelle parti della cellula che non siamo ancora riusciti a comprendere né strutturalmente né funzionalmente. Alcuni autori hanno anche ipotizzato che campi quantistici siano necessari e fondamentali al funzionamento del neurone, non per il loro funzionamento meccanico, ma per il risultato, prodotto dalla loro fase di scarica sinergica con migliaia o milioni di altre cellule (il fenomeno di cui noi abbiamo esperienza quale può essere la mela rossa o l'innamoramento). E allora il nostro sistema informatico, o robottino magari, resterebbe ancora una volta un pezzo vuoto, in grado però di raccontare i ricordi di Franco, o Giovanni, di vedere come loro e così via, ma non di essere come loro. Se mancasse qualche pezzo fondamentale significherebbe allora che ci siamo persi qualcosa per strada e avremmo bisogno di, molte, altre prove del nove...

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