Resina di un certo livello...

lunedì 25 aprile 2011

Pearl jam - Immortality



Vacate is the word
Vengeance has no place on me or her
Cannot find the comfort in this world
Artificial tear
Vessel stabbed, next up, volunteers?
Vulnerable
Wisdom can't adhere
A truant finds home
And a wish to hold on
But there's a trapdoor in the Sun

Immortality...


As privileged as a whore

Victims in demand for public show
Swept out through the cracks beneath the door
Holier than Thou, How?
Surrendered, executed anyhow
Scrawl dissolved
Cigar box on the floor
A truant finds home
And a wish to hold onto
He saw the trapdoor in the Sun

Immortality..


I Cannot stop the thought

I'm Running in the dark
Coming up a which way sign
All good truants must decide
Oh, Stripped and sold, mom
Auctioned forearm
And Whiskers in the sink
Truants move on
Cannot stay long
Some die just to live

mercoledì 20 aprile 2011

Defying gravity

Se ne avete l'opportunità (e l'avete perché avete internet) dovreste vedervi la serie televisiva "Defying gravity". Si tratta di una decina di episodi (13 per l'esattezza) ambientata in un futuro non solo plausibilmente futurabile, ma anche abbastanza vicino, il 2052. La serie è partita male per finire malissimo: alla messa in onda del suo pilot è stata definità da uno degli autori (stesso produttore magari?) il Gray's anatomy dello spazio. E' stata  cancellata perché nessuno se la filava. Si sono dati da soli una zappa sui piedi non grande, enorme: erano puttanate il fatto che la serie trattasse gli stessi temi nello stesso modo, cosicché chi, sentendo una notizia del genere, affascinato dalle soap opera si è avvicinato alla serie, l'ha abbandonata immediatamente mentre, a chi non frega nulla di cose del genere, non l'ha neppure presa in considerazione. Ora, non so molto bene se in realtà Gray's anatomy racchiuda al di là delle vicissitudini sentimentali un nocciolo filosofico e sociale ma, cazzo, Defying gravity è una delle serie più filosofiche che abbia mai avuto il piacere di seguire. Ogni puntata al di là dell'avanzamento della trama, si basa sempre su un concetto astratto, rendendolo il più possibile vicino al quotidiano, e si fonda sull'analisi di un aspetto della natura umana. La storia è abbastanza semplice: un gruppo di astronauti deve fare un tour del sistema solare per dei motivi che non voglio anticipare. Una puntata in particolare mi è rimasta in testa: il concept era basato sulla natura colletiva dell'essere umano, sul fatto che volenti o, sopratutto, nolenti abbiamo e sempre avremo bisogno dell'altro. E questo a causa della nostra stessa natura umana. Sembra banale il concetto, ma non so fino a che punto possa esserlo. Sentendo qualcosa del genere può essere semplice pensare "si ok abbiamo bisogno dell'altro per i bisogni, per le necessità ecc ecc" ma da qui dista molto il passo successivo, ovvero quello di accettare il concetto di una nostra intrinseca dipendenza. Siamo dipendenti quando nasciamo, siamo dipendenti quando invecchiamo, siamo dipendenti per gran parte della nostra vita, nella soddisfazione di bisogni essenziali, ma risulta difficile pensare di esserlo, in modo ancor più importante per la nostra vita intellettiva. Rilancio: siamo dipendenti anche nella salute intellettiva e in quella emotiva. Siamo dipendenti anche solo per la vista di un altro come noi, anche solo per il suo saluto. Questo è il nucleo del discorso , rendersi conto di non essere soli neppure di fronte ai propri pensieri perché anche quelli avranno sempre come base l'altro. Capirlo, farlo proprio, è questo il nucleo del discorso. E, nella puntata, te lo spiegano benissimo. 
La serie non ha neppure un finale. Enjoy

venerdì 15 aprile 2011

Alternative n.2

Immaginiamo che ogni cosa abbia una propria esistenza, un piano sul quale esistere. E' ampiamente accettato oggi che l'esperienza vissuta da ognuno di noi sia unica, ineguagliabile. Ognuno di noi quindi, in quanto sistemi biologici unici, possiede un'unica e propria esperienza d'una scena, d'un profumo, d'un fiore; ognuno di noi ha la propria realtà che in nessun modo potrà essere equiparabile a quella di qualcun altro (ma solo simile e, in questo modo, condivisibile). Secondo questo principio ogni individuo crea la propria realtà, il proprio mondo, la propria fenomenologia. Allora pensiamo appunto che ogni cosa abbia la propria esistenza; proprio come il mondo delle esperienze di noi esseri umani non possiede un'unica realtà, ma ha bisogno di tante realtà quanti spettatori vi partecipano (senza pensare ad eventuali fenomeni additivi di natura sociale), sarebbe possibile che ogni realtà soggettiva sia, sul proprio piano di realtà, una realtà oggettiva? Voglio dire: il mio vissuto, la mia realtà soggettiva, non essendo in alcun modo esplorabile oggettivamente (quindi da molti) potrebbe essere per se stessa, e solo per se stessa, una realtà oggettiva? Quando pensiamo al mondo oggettivo, quello che prescinde dalle esperienze e quindi dalle interpretazioni e dai punti di vista, pensiamo ad un mondo determinato e regolato da regole congrue (almeno secondo il nostro attuale modo di vedere le cose) tra di loro. Ma quello a cui ci riferiamo, parlando del mondo oggettivo, è il piano di realtà che conosciamo tutti, globalmente, e che differisce come detto solo in base alle interpretazioni e alle caratteristiche individuali: insomma ci riferiamo ad un piano di realtà con caratteristiche specifiche che ci è permesso di condividere. E se ci fossero molti piani di realtà (non dimensioni come suppone la teoria del "multiverso" ma vere e proprie realtà, con tutte le dimensioni del caso, coesistenti)? Se la realtà che riteniamo l'unica vera e possibile fosse solo quella a noi manifesta in quanto condivisibile con le nostre esperienze, mentre coesistono con essa infinite realtà che non sperimentiamo, o che magari pur sperimentandole non le consideriamo plausibili, o non le consideriamo vere e proprie realtà? Tornando a fare l'esempio delle nostre esperienze: noi consideriamo la nostra attività mentale, dai sogni ai pensieri, una nostra caratteristica alla quale possiamo avere accesso solo noi e che al di là della nostra persona non possiede alcun valore, se non nel momento in cui si manifesta in comportamente e quindi diviene condivisibile sul piano di realtà oggettiva. E se invece l'intera nostra attività mentale fosse un piano di realtà? Se si trattasse di una realtà governata da regole proprie, da confini e caratteristiche proprie come la realtà che noi definiamo vera? Se fosse vera in tutto e per tutto? Se il pensiero stesso fosse vero in tutto e per tutto attraverso una "materia" della quale non possiamo avere esperienza se non...attraverso il pensiero stesso? Infondo la materia che noi conosciamo è una sostanza accessibile in un determinato modo ai nostri sensi: se i pensieri fossero fatti di una materia semplicemente non accessibile ai nostri sensi, ma solo alla nostra stessa attività mentale? A questo punto potremmo chiederci la stessa cosa...che so...della matematica. Una disciplina che nasce dalla logica, fine a se stessa, magari potrebbe costituire una realtà fine a se stessa, se non quando ne usufruiamo attraverso il ragionamento... Probabilmente difficilmente scopriremo se tutti i nostri pensieri costituiscono un piano di realtà proprio, invece di essere solo il prodotto del nostro cervello, e difficilmente qualora lo fossero intaccherebbero con questa nozione il nostro modo di vivere, ma in un Alternative ce lo si può chiedere. 

martedì 12 aprile 2011

Ben Harper - The Word Suicide


The word suicide is irresponsible
Still you offered to buy me a gun
what's so hard about sympathy
Love is a lonely room
Love is a lonely room

When out on the edge
there's just two directions
And somebody has to lose
I should know better than to use words
Like never and hate
Love is a lonely room
Love is a lonely room

This is no way to live
And this is no way to die
Who in the hell's life is
this I'm living anyway
Love is a lonely room
Love is a lonely room

Love is a lonely room

venerdì 8 aprile 2011

La mia città

Molti pensano che la mia città sia morta, che sia diventata la copia turistica di se stessa. In molti credono che nella mia città, solo perché grande e grossa,  vi sia spazio solo per muri dal colore dei murales e banchi di nuvole grigie, sollevate da fiumi di macchine. In parte effettivamente è così. Ma la mia città, che in realtà tanto mia non è ma che lo è diventata visto da quanti anni la odio, la sopporto, la vivo e la amo, ha una copia ridotta di se stessa al suo interno, una copia dell'originale ormai quasi del tutto sbiadita ma che ancora ti fa sorridere, ancora ti fa capire che ne avremo per un'altra decina (forse ventina) d'anni, e poi andrà tutto al diavolo. Così capita ancora di trovare una piccola trattoria dove il turista non riesce ad arrivare, dove all'interno trovi solo i bambini che guardano i vecchi, palloncini a pochi metri di distanza da anziani che mangiano in silenzio, con calma. E il signore accanto a te, col viso ossuto e il collo largo, che quando ordina si gira verso la cameriera a specificare  "Mi raccomando, il carciofo lo voglio col gambo eh!". Nella mia città queste cose le trovi ancora. Son poche e rare, ma le trovi ancora.

venerdì 1 aprile 2011

The Smashing Pumpinks- Disarm


 
Disarm you with a smile
And cut you like you want me to
Cut that little child
Inside of me and such a part of you
Ooh, the years burn

I used to be a little boy
So old in my shoes
And what i choose is my choice
What's a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you

Disarm you with a smile
And leave you like they left me here
To wither in denial
The bitterness of one who's left alone
Ooh, the years burn
Ooh, the years burn, burn, burn

I used to be a little boy
So old in my shoes
And what I choose is my voice
What's a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you

The killer in me is the killer in you
Send this smile over to you
The killer in me is the killer in you
Send this smile over to you
The killer in me is the killer in you
Send this smile over to you

Alternative n.1


Ho pensato a come spesso (quasi sempre a dir la verità) il concetto di scienza venga abusato, stressato in un senso o in un altro. E allora se da una parte vecchi bavosi ti tirano dietro il principio scientifico metodologico come un esclusivismo quasi religioso quasi con l'intenzione di escludere sempre più nuovi modelli e concetti, dall'altra ci sono tutti quei rimbambiti che di scienza non sanno nulla, neppure i principi generali e reclamano “l'attestato” di scientificità per qualsiasi idiozia la loro mente produca. Tra l'uno e l'altro, per fortuna, c'è una terra di confine che può farci quasi da conforto, quasi da ultima speranza; troviamo la “fringe science”, la scienza spinta ai confini della scienza stessa, con l'obbiettivo di mettersi in gioco, di essere spregiudicata e disarmante, con l'obiettivo di andare avanti rispetto i vecchi canoni scientifici mantenendone tutta l'identità. Insomma, datemi un'idea e vediamo cosa si può fare... E allora gli “Alternative” saranno articoli di scienza di confine, ragionamenti al limite dell'opinabile, ma sempre con un piede in terra... Ah, per inciso: dalle teorie più ardite non sono nati i ciambelloni della nonna Alvara, ma i fondamenti delle più moderne teorie, i cardini della nostra modernità. Buona lettura.

Una delle nostre (in occidente) eredità filosofiche dei secoli passati più ingombrante è senza dubbio il dualismo mente-corpo: ce la portiamo dietro nelle espressioni idiomatiche, nei riti culturali, nelle religioni e spesso persino nelle pubblicità commerciali. Nonostante sia un principio ormai sull'onda dell'estinzione, ci troviamo ancora vincolati a tutti quei retaggi che vedono il pensiero/coscienza/mente/personalità radicalmente svincolato dal corpo. “Sinceri: chi si identifica nell'unghia dell'alluce del piede destro? Ancora, ancora, con la testa, ma non con l'unghia dell'alluce...”. Siamo noi, e poi tutto il resto che comprende peli, unghie, piedi, mani ecc ecc. Per fortuna negli ultimi decenni abbiamo dato un fondamentale smacco a tale concezione (almeno in ambito accademico) portando numerose prove a favore dell'indissolubilità tra mente e corpo, tra l'uno e l'altro... L'esempio ormai classico è la depressione: un depresso non è tale fisicamente e non mentalmente, come non lo è mentalmente senza esserlo anche fisicamente (e per “fisicamente” intendo a livello neurobiologico e fisiologico): un depresso manifesta specifiche alterazione neurotrasmettitoriali e, allo stesso tempo, una specifica sintomatologia psicologica e comportamentale, con ricorsi di pensiero riscontrabili in altrettanti specifici momenti, e così via... Ma, lasciando da parte il povero depresso, se un individuo è tale in quanto compresenti aspetti fisici e mentali, non sarebbe inopportuno a questo punto continuare a parlare di “coscienza” come una caratteristica puramente mentale? A questa domanda ci sono divisioni nette nelle risposte, una è: “si! Mandate a quel paese ogni tipo persistenza filosofica e psicologica e concentratevi unicamente sulla biologia, corpuscoli e nothing more”. L'altra risposta in genere è: “no! Scusa ma come faccio a parlare di persona se prendo in considerazione soltanto i corpuscoli e nothing more? È ovvio che la biologia sia solo un supporto fisico alla coscienza e ai processi di pensiero di una persona.”. Vi ricorda nulla? Lo so, abbiamo detto che abbiamo superato il dualismo mente-corpo, e invece evidentemente non è così. Diciamo meglio: pensavamo di averlo superato. Si perché le teorie comprensive di oggi (non nel senso di caritatevoli eh) non sono affatto comprensive, non sono affatto unitarie, ma tendono a distinguere proprio come hanno sempre fatto da secoli a questa parte, se non con una finezza maggiore. Dunque, dove voglio arrivare? Voglio arrivare al fatto che l'individuo è uno, e solo uno, dalla sua biologia, dalla rottura di molecole di ATP, fino alle sua psicologia, fino al suo senso di rammarico, alla scelta di quali pelati usare per cena o alle sue opere creative. Però, se davvero crediamo in questo principio mi sa che di problemi ce ne troviamo parecchi nella scienza moderna... è vero che cerchiamo l'integrazione dei modelli, ma è anche che vero le ricerche scientifiche non possono mica essere omnicomprensive: se devi studiare il fegato non puoi mica prendere in considerazione tutta la storia comportamentale del soggetto e tutto quello che ha fatto nell'arco della sua esistenza, quello che ha ingerito e (secondo ardite teorie) quello che pensa del suo stesso organo. E così se volessimo studiare la coscienza, non potremmo mai prescindere dal suo stato di organicità. Però esiste la prova del nove... Da un po' di anni esistono le reti neurali, e questo lo sanno pure i bimbi. Ogni rete è costituita da una cellula informatica (che può essere un computer o un insieme di bit, in base al tipo di rete) che simula l'operato di un neurone o un insieme di neuroni. Così facendo, raggiungendo un gran bel livello di complessità, è possibile rendere il programma in questione altamente sofisticato e soprattutto plastico (ovvero in grado di apprendere e di agire o scegliere in base a scelte o azioni già fatte). La sofisticatezza odierna di tali programmi è buona ma se parliamo di coscienza dobbiamo, credo, fare un bel passo in avanti. Immaginiamo di aver sviluppato sistemi hardware in grado di sostenere il numero di un gran numero di calcoli; ora immaginiamo di essere riusciti a replicare informaticamente le diverse forme di cellule neuronali, i diversi raggruppamenti, e quindi le diverse funzionalità. Bene: questo sarebbe il sistema informatico più semplice possibile in grado di riprodurre (o ospitare) una coscienza. Perché il più semplice possibile? Perché non terrebbe conto del fatto che il sistema non si crede (e con “crede” non intendo tanto un concetto ma una serie di vincoli strutturali che fungano da feedback) un sistema biologico. Ma supponendo di essere in grado di inserire anche questo parametro, ovvero una serie di feedback che diano la stessa consistenza, lo stesso vantaggio e gli stessi svantaggi che avrebbe un sistema biologico quale il cervello, saremmo si in grado di produrre un sistema di molto vicino a quello autentico, ma non ne sarebbe la stessa copia. Questo perché per riprodurre un sistema informatico che risponda esattamente come quello biologico forse dovremmo essere anche in grado di riprodurre (sempre informaticamente) tutti gli organuli e le proteine, così come il corpo che circonda il cervello e l'ambiente che circonda il corpo. Però non esageriamo dai. Freghiamocene di queste complessità, almeno qui, e diciamo che siamo riusciti a produrre un sistema informatico in tutto simile al sistema neuronale dell'intero cervello (di uno a caso). La domanda è: potremmo a quel punto trasferirci una coscienza? Ovvio che se siamo riusciti (sempre in un ipotetico futuro) in un lavorone del genere figuriamoci se non siamo in grado di “mappare” l'insieme di reti cerebrali di un individuo. Probabilmente, a quel punto, per sapere se la coscienza sia determinata unicamente dall'insieme delle cellule cerebrali e dalla loro attività di scarica (ovvero l'attività conosciuta ad oggi), il trasferimento in un sistema informatico come quello descritto sopra dovrebbe essere sufficiente per riprodurre in tutto e per tutto la coscienza del poveraccio a cui è stato mappato il cervello. Prove del nove insomma... Staremmo apposto... Tutto risolto: la coscienza è determinata dalla struttura (disposizione) e attività delle cellule cerebrali, una loro alterazione provoca un'alterazione della coscienza dell'individuo, o un cambiamento nei suoi processi decisionali e così via... Ma, probabilmente, la cosa interessante avverrebbe nel caso in cui il risultato fosse ben diverso da quello osservato nell'individuo “mappato”, si perché a quel punto significherebbe che né la disposizione cellulare (ed occhio perché la disposizione dei neuroni è fondamentale nelle reti cerebrali, cambiando per esempio in base a processi di pensiero, o recuperi da lesione) né la funzione stessa delle cellule è componente sufficiente per il prodotto finale quale può essere Franco, Giovanni o chi per loro. A quel punto la soluzione potrebbe trovarsi in due posti: o all'esterno del cervello (qualcuno ha detto unghia del piede?) o all'interno dei neuroni, in quelle parti della cellula che non siamo ancora riusciti a comprendere né strutturalmente né funzionalmente. Alcuni autori hanno anche ipotizzato che campi quantistici siano necessari e fondamentali al funzionamento del neurone, non per il loro funzionamento meccanico, ma per il risultato, prodotto dalla loro fase di scarica sinergica con migliaia o milioni di altre cellule (il fenomeno di cui noi abbiamo esperienza quale può essere la mela rossa o l'innamoramento). E allora il nostro sistema informatico, o robottino magari, resterebbe ancora una volta un pezzo vuoto, in grado però di raccontare i ricordi di Franco, o Giovanni, di vedere come loro e così via, ma non di essere come loro. Se mancasse qualche pezzo fondamentale significherebbe allora che ci siamo persi qualcosa per strada e avremmo bisogno di, molte, altre prove del nove...