Resina di un certo livello...

domenica 24 febbraio 2013

L'atlante dei pensieri


So it goes, yes it goes, 
you can write, you can compose 
every stop that marks your course. 
From the start to the end 
you will always have to wend, 
leead the way with your hand. 

Time now has come to decide 
what is wrong what is right, 
what's the truth still to find. 
Time now has come to make a choice. 
It's your turn use your voice, 
just stand up and sing out loud. 


So it goes, yes it goes, 
you will make and break the laws, 
learn to stop, to play and pause. 
From the start, to the end 
I promise I will be your friend, 
I promise I will take your hand. 

Time now has come to decide 
what is wrong what is right, 
what's the truth still to find. 
Time now has come to make a choice. 
It's your turn use your voice, 
just stand up and sing out loud. 

So it goes, yes it goes, 
we can choose effect and cause, 
we should stop, we should push pause.

venerdì 25 gennaio 2013

Quella parte di me

Sarà stata l'estate 2001, forse 2002. Non avevo speciali fonti di spaccio musicale se non il solito, unico, amico che mi teneva aggiornato su delle novità musicali risalenti agli anni '80 e '90. Si, il nostro ricercare musica era un po' strano perché nel mezzo del guazzabuglio di merda stereofonica che emergeva (qualcuno ha detto emerge?) in quegli anni era difficile trovare qualche radice ancora viva da cui trarre linfa, trovare una strada per della buona musica che inevitabilmente faceva parte degli anni passati. E allora era un continuo ricercare, un continuo informarsi da cugini più grandi (i suoi) o chissà quale altro modo. Il fatto è che mi ricordo che faceva caldo, faceva caldo e io avevo i jeans strappati. Ricordo che mi osservavo le ginocchia fuoriuscire dal tessuto mentre qualche ciocca lunga dei capelli mi copriva parzialmente la visuale. Ed eravamo lì, nella macchina di qualche amico con qualche anno di più e ascoltavamo un pezzo mancante della nostra enciclopedia musicale, un'enciclopedia che partiva dalla musica e ci entrava nella testa. E si, cazzo, ci mancava quel pezzo e l'effetto fu dannatamente strano. Avevamo vissuto per anni ascoltando un genere ,che si va bene usato e usurpato per i milioni che ci si è riusciti a fare, ma che in fondo aveva un'anima sua, una sua anima forte, ed ora scoprivamo una nuova origine, e dunque un nuovo significato. Me lo guardavo, il mio amico, mentre trafficava nella sua borsa colorata e mentre tirava fuori della plastica consumata, eppure mai usata: <<Questo è il cd dei Mother Love Bone, credimi che sono incredibili>> e mentre lo infilava nell' auto-stereo plasticoso mi chiedevo se mi avessero fatto l'effetto che mi faceva tutta la musica che mi aveva passato fino a quel momento, ovvero nausea iniziale e poi adorazione incondizionata. Ma quella volta lì sapore di quelle note fu del tutto diverso. In quel caso si trattava delle origini, di un principio privo della nostra stessa conoscenza.



Ed era lì che mi guardavo le ginocchia fuoriuscire dal jeans, era quel momento, piegato su di un sedile d'una macchina, che pensai ingenuamente che quel momento non sarebbe finito, che non sarebbe finito almeno per una volta nella vita l'ascolto d'un cd. Ma io e le mie ginocchia ci sbagliavamo. Ma la cosa più assurda è che la mia mente unisce questo momento con un altro, temporalmente e spazialmente distinto, come fossero avvenuti all'unisono. In un altro momento, in un altro luogo e su di un'altra auto sempre lui, sempre lo stesso, caro, amico, tirò fuori dalla medesima borsa un'altro cd di plastica consumata. Guardandomi, sembrava commuoversi: <<Questo è il cd commemorativo...per quel tizio lì...di quel gruppo là...i Mother...>> e allora tutto, nella mia mente, prese a girare e a funzionare come un circolo, come un cerchio dove l'inizio diviene inevitabilmente la fine, e dove nel mezzo, non potevano che esserci le mie ginocchia, spuntare sempre dagli stessi, dilaniati, jeans. 


E lì in mezzo, nei jeans rotti, nei capelli lunghi, brutti e arruffati, nel sapore delle sigarette che poi non fumavo, nelle automobili spartane quanto affascinanti e, soprattutto, in una musica che mi s'attaccava alla pelle più d'ogni altra cosa, lì in mezzo si nasconde ancora una parte di me che non muore. Anche se ad oggi è difficile da scorgere, sepolta sotto le difficoltà, sotto le delusioni, sotto le crescite obbligate. Sotto tutti gli anni che, lentamente, passano, c'è ancora una parte di me che grida le stesse note di quegli anni là.


giovedì 17 gennaio 2013

Fringe - L'umanità tutta

Tre anni fa, mentre surfavo tra i vari siti internet, mi sono imbattuto in una nuova serie tv: "Fringe". E' un termine che significa "margine", "confine" e il serial racconta appunto della scienza di confine. Si, perché la scienza non è soltanto un mero calcolo statistico, non è solo l'interpretazione di un evento naturale, ma è anche sperimentazione e, spesso, quando c'è sperimentazione (magari anche più teorica che pratica) ci si avvicina al confine di cui sopra. La "Fringe Science" pone il metodo scientifico ad eventi difficilmente interpretabili o a teorie lontane dal mondo fenomenologico, il quale possiamo sperimentare quotidianamente. Per fare un esempio, quando vennero per la prima volta teorizzati i "buchi neri", quindi sulla base della sola speculazione, in quel momento quel fenomeno poteva essere considerato "fringe". Poi gli anni e l'evoluzione degli strumenti hanno accreditato tale ipotesi avvicinandola ad una concezione più scientificamente "umana". Ecco, il primo presupposto del serial è appunto quello di trattare la scienza, nella sua forma più estrema, più concettualmente lontana dai canoni classici e, ovviamente, in una cornice del tutto romanzata. Ma se si fermasse lì non andrebbe oltre ad un semplice, per quanto godibilissimo, sci-fi come altri. Un altro presupposto, ancor più radicato nelle radici narrative, è quello di voler raccontare l'essere umano sia in relazione a questi eventi che non. Alla base di ogni storia singola, e della storia generale, ci sono infatti la reazione e la relazione umana, che tentano di trovare una spiegazione a loro stessi magari confrontandosi con le proprie, possibili, alternative. Ogni uomo sulla terra si chiede cosa sarebbe diventato se si fosse comportato diversamente in uno specifico momento e in uno specifico luogo e qui, gli autori, non raccontano solo questo, ma raccontano anche l'analisi e la consapevolezza che attenderebbe ciascuno una volta compreso che ad ogni azione corrisponde un effetto anche nelle relazioni, anche nei processi di pensiero, proprio come nelle leggi fisiche dell'universo. Ecco dunque, Fringe è l'essere umano che, immerso in un pasticcio di eventi strambi e quasi impossibili dislocati dagli anni '80 fino al futuro, cerca  di accettare le proprie azioni, anche quando esse sembrano inaccettabili, impossibili anche più di quei eventi lì, anche quando portano a rifiutare la natura di se stessi. E in tutto questo, nell'analisi di se stessi e nel tentativo dell'accettazione dei propri errori, non può che rientrare la diatriba massima che governa il mondo: cervello o cuore? Intelligenza o sentimenti? E in questa vera e propria guerra, a sua volta, non può che emergere l'idea che l'unica soluzione possibile sia soltanto una: scegliere entrambi.
Questo è Fringe e forse molto altro ancora. Domani notte, in America, sarà trasmessa l'ultima puntata e si chiuderà il racconto forse più ardito e forse uno dei più introspettivi, degli ultimi anni. Non sono bastate cinque stagioni a raccontare per bene ogni aspetto della scacchiera, ma bisogna dire che per raccontare l'umanità tutta, intrisa di scienza, passione, sentimenti e rimorsi non ne sarebbero forse bastate altre cento. Ma rimarrà comunque il ricordo di una storia di un uomo e di tutta la sua umanità posta al margine estremo della scienza, al margine estremo della vita.
Fringe life.