Resina di un certo livello...

mercoledì 28 settembre 2011

Il paradosso del posto in treno

La mia vita "pendolaresca" mi impone delle riflessioni. Delle volte tali riflessioni riguardano la vita, altre la morte e altre ancora la natura stessa e implicita...del pendolare. Non si tratta di un individuo come gli altri, no, sul pendolare grava il peso del mondo. Non intendo il peso in quanto responsabilità, intendo il peso nel senso di pesantezza, sofferenza... Il pendolare è l'unica categoria umana che non svilupperà mai e poi mai il senso di fratellanza con gli appartenenti alla medesima categoria, semplicemente perché è in aperta competizione proprio con essi. La meta non è l'arrivo del viaggio, non è la stazione ultima del treno, ma casomai il posto. Il guscio che permette il godimento delle innumerevoli sfaccettature della realtà, che siano esse il sonno o la lettura, non è altro che un vecchio sedile, su di un vecchio treno. 
Tipica vita da cani di un pendolare

Ma il problema che si pone alla radice della questione è quello medesimo della nostra stessa società, ovvero che non ci sono posti a sedere per tutti. Ma passiamo al paradosso. Se su una tratta di medio-lunga durata (facciamo, che so, una cinquantina di Km) il numero dei pendolari si distribuisce equamente, ma con le prime fermate tutti i posti a sedere si esauriscono, chi avrà diritto a sedersi in una diatriba, quando tutti i pendolari saranno saliti? La riformulo più chiaramente. Se arrivati alla quinta fermata su dieci tutti i posti sono occupati, nel momento in cui gli ultimi pendolari saliti chiedono di sedersi agli stessi loro "colleghi" seduti dalla fermata di partenza, chi avrebbe diritto a godere del posto? I pendolari seduti dalla prima fermata avranno dalla loro come motivazione prima di tutto il fatto di possedere già il posto, secondo poi di essersi svegliati prima e di aver dunque preso decisamente prima il treno; i pendolari seduti dalla quinta fermata, tuttavia, potrebbero ribattere che loro (i pendolari senior) sono stati seduti per un numero di fermate equivalente a quello che resta per raggiungere il capolinea, e quindi la seconda metà del viaggio (da seduti) spetterebbe a questi altri (i pendolari junior). Ma le cose si potrebbero complicare ulteriormente qualora i senior ribattessero a loro volta che alzandosi si farebbero 5 fermate seduti e 5 in piedi mentre i junior se ne farebbero solo 5 da seduti; ma allo stesso modo i junior potrebbero rispondere che non cedendo il posto i senior si farebbero 10 fermate da seduti mentre loro, i junior, se ne farebbero 5 in piedi. Ancor più complessa diverrebbe la diatriba qualora i senior esprimessero il loro diritto al posto sostenendo come argomentazione che la loro città di partenza è più lontana, quindi il loro risveglio la mattina più precoce e così via...Tuttavia, i junior potrebbero smorzare l'argomentazione avvalendosi di un principio di "non colpa", lavandosi della responsabilità della loro città natale/di appartenenza. Si potrebbe andare avanti per molto, alla ricerca di dettagli in grado di risolvere la questione. Ma volete sapere la soluzione? Semplice, non credo ci sia...Beh che volete, io l'avevo scritto nel titolo che era un paradosso...

lunedì 26 settembre 2011

Speriamo che gli scanner vedano meglio di me...

A scanner darkly. Si tratta di un libro di Dick, e di un film. Quando lo vidi la prima volta non c'ho capito nulla, lo ammetto. Ero rimasto affascinato dalla bellezza delle sue scene (il film usa una speciale tecnica che colorando a mano sulla pellicola crea un effetto di mix tra ripresa reale e animazione)




eppure vedere il film mi ha lasciato un gran senso di confusione, come se il film pur avendo un inizio ed una fine, non riuscisse a farmi arrivare nessuno dei due, lasciandomi con la sola sensazione del momento, del presente. Sono passati alcuni anni ed essendomi capitata sotto mano una copia del libro, ed avendolo iniziato, ho deciso di dargli un'altra possibilità. Cosa ne penso? Penso che: VAFFANCULO, è molto bello. E ho capito anche perché mi sembrava non avesse un inizio ed una fine degne, logiche: perché l'esperienza stessa che racconta non ne ha. Intendiamoci, pur complessa che sia la trama, la conclusione la mostra, ma il senso che dà non è quello del termine, del viaggio dal punto A al punto B, ma l'esatto contrario. Nel film regna la più totale confusione cognitiva, con oggetti che prendono vita, allucinazione di grado psicotico e dialoghi sconclusionati e paranoidi. Ma va al di là di tutto questo: infonde nello spettatore lo stesso sospetto di essere fuori di testa, di non aver capito bene cosa stia succedendo al momento, come se si fosse appunto strafatti. Ti mette in testa l'idea che tu ci sia arrivato troppo tardi o magari per niente. Con me ci sono riusciti, la prima volta che ho visto il film...chissà che questa volta invece io non mi sia immaginato il tutto...

P.S. Ah la colonna sonora comprende "black swan" di Tom Yorke, dettaglio non esattamente irrilevante.

mercoledì 21 settembre 2011

Hanno vinto loro!


Sia ben chiaro: questo non è un blog di politica, o di politicanti, ma la parola in sé "politica" con la sua radice fa intendere una questione generale delle tematiche della città/nazione/società/mondo, quindi è inevitabile andarsi a scontrare con alcune questioni.

Detto questo, ripeto quello che è ben visibile nel titolo: hanno vinto loro. Non intendo una vittoria politica, di voto, bensì una vittoria culturale e questo è facilmente notabile dalla reazione suscitata dalle frasi del viceministro Castelli. Silenzio. Qualche mugugno, ma poi silenzio. Intendiamoci, me ne frego (letteralmente) del colore della sua bandiera, o di quella dei suoi compagni, o di quella dei suoi avversari, perché non è questo che identifica una persona. Una persona si identifica per le parole che fa uscire dalla bocca e dalle azioni che fa. Nel video qui sopra visionabile il viceministro sostiene di essere marxisticamente povero, in quanto per ragioni ideologiche ha rinunciato ad una ben più proficua pensione da ingegnere, per uno stipendio di 145.000 euro l'anno. Più o meno 12.000 euro al mese. Mi vergognerei, personalmente, ad adoperare la parola povertà associandola ad una cifra del genere. Anche marxisticamente parlando. Ma non è questo il discorso, non lo è davvero. No perché, oggigiorno abbiamo imparato troppo bene a divertirci alla "pubblica gogna virtuale" con personaggi quotidiani e mondani, che s'attiva sulle frasi e sulle espressioni. Un gioco che poi, in quanto virtuale, non porta da nessuna parte, si esaurisce con l'esaurirsi delle batterie, e la cui utilità riguarda più che altro quella di riempire le pagine di facebook, o dei blog (ops). Oggi (e chissà magari anche ieri) siamo abituati a sputare su praticamente qualsiasi cosa: io posso sputare sulla frase di Castelli, ma figurati se non trovo qualcuno che sputi sulla mia frase su Castelli, e figurati un po' se non si viene a trovare qualcuno che ha da ridire proprio sulla frase contro la mia frase che era contro la frase di Castelli. Va bene, va bene il mondo è bello perché è vario, ma qui l'abitudine riguarda più che altro la ciarlataneria. E intanto loro hanno vinto. Chi? Quelli che gettano il sassolino nello stagno e si godono gli stipendi, i privilegi, i titoli nobiliari, la notorietà, le puttane, le case, le cose, le auto, mentre il sistema chiacchiera e chiacchiera e chiacchiera e chiacchiera. Hanno vinto quelli che sono immuni dalla reazione, perché la reazione (di qualunque tipo, che si tratti di una reazione fisica o mentale) viene a mancare, si estingue. Improvvisamente l'unica reazione che riusciamo ad avere è quella internettiana. 

venerdì 16 settembre 2011

Guaranteed - Eddie Vedder


On bended knee is no way to be free
Lifting up an empty cup, I ask silently
All my destinations will accept the one that's me
So I can breathe...

Circles they grow and they swallow people whole
Half their lives they say goodnight to wives they'll never know
A mind full of questions, and a teacher in my soul
And so it goes...

Don't come closer or I'll have to go
Holding me like gravity are places that pull
If ever there was someone to keep me at home
It would be you...

Everyone I come across, in cages they bought
They think of me and my wandering, but I'm never what they thought
I've got my indignation, but I'm pure in all my thoughts
I'm alive...

Wind in my hair, I feel part of everywhere
Underneath my being is a road that disappeared
Late at night I hear the trees, they're singing with the dead
Overhead...

Leave it to me as I find a way to be
Consider me a satellite, forever orbiting
I knew all the rules, but the rules did not know me
Guaranteed

domenica 4 settembre 2011

Shock the evolution

Probabilmente Darwin aveva ragione, oramai (checché ne dicano alcuni) sembra abbastanza assodato. Per la cronaca l'evoluzione non funziona come un miglioramento, una sorta di upgrade, come molti pensano e come ci verrebbe anche spontaneo pensare. L'evoluzione funziona come una sorta di sopravvivenza a random: te sei quello di sempre, io nasco con le ali, in questo ambiente ostile io sopravvivo meglio di te e, per giunta, trovo tra migliaia di altri individui come te uno con la mia stessa caratteristica, ci accoppiamo e i nostri pargoli funzioneranno e sopravviveranno meglio dei tuoi pargoli. Moltiplichiamo per milioni di anni, e si hanno i periodi evolutivi. Insomma si, aveva ragione, ma cosa succede se in questa formula introduciamo ad un certo punto un elemento forse imprevisto, un elemento in grado di assolvere ai "compiti" evolutivi quali la sopravvivenza individuale, ma che si riveli a lungo andare destabilizzante, imprevedibile ; cosa accadrebbe alla formula dell'evoluzione se introducessimo la coscienza?  Ogni organismo, dalle cicadine alle zanzare hanno un funzionamento che rientra perfettamente nei canoni della sopravvivenza e dell'evoluzione, ma solo un organismo presenta le caratteristiche proprie della coscienza e per quanto ci piaccia vedere barlumi di coscienza in animali intelligenti (e anche simili a noi) quali scimmie, cani e delfini, a conti fatti possiamo essere certi al 100% della presenza di coscienza solo in un animale: l'uomo.  Perché ritengo la coscienza un elemento a lungo andare destabilizzante? Semplice: la coscienza, qualora fosse "nata" come nuova caratteristica evolutiva, sarebbe servita senza dubbio a fortificare tutti i caratteri propri della sopravvivenza; per questo basti pensare all'unione tra individui. Se per due cani, l'accoppiamento funziona a periodo, feromoni e lotte intestine nei gruppi, nell'uomo evoluto funziona per "amore", per idealizzazione (e quindi fortificazione) dei sentimenti. La/il nostra/o amata/o non ci appare come il fine della procreazione, ma come la ragione d'essere, di vivere. Non voglio fare del semplice cinismo anche perché, in quanto essere umano, c'entro anche io in questo discorso, ma la coscienza fortifica gli istinti, donandogli delle razionalizzazioni. Ma per l'appunto, al di là di questo, la coscienza, in quanto autoconsapevolezza dell'individuo intelligente, produce alta varietà di comportamento. Ed è questo, a mio avviso, il bivio dell'evoluzione stessa: se da una parte c'è con il resto della sfera animale/vegetale (e c'era con i nostri antenati) il comportamento stereotipato, sicuro e prevedibile, c'è con noi ora una varietà di comportamento che prende si spunto dai nostri istinti e necessità, ma che sfocia poi nell'imprevedibilà. Ma proprio questo punto focale resta quello maggiormente critico in tutto il ragionamento: se un elemento sviluppatosi in un organismo, lo rende meno incline all'autoconservazione, cosa succederebbe se un giorno nascessero individui privi di quello stesso elemento? Cosa succederebbe se un giorno nascessero uomini dove (di nuovo) la coscienza è assente, o che comunque ricopre un ruolo minore?