Resina di un certo livello...

venerdì 25 gennaio 2013

Quella parte di me

Sarà stata l'estate 2001, forse 2002. Non avevo speciali fonti di spaccio musicale se non il solito, unico, amico che mi teneva aggiornato su delle novità musicali risalenti agli anni '80 e '90. Si, il nostro ricercare musica era un po' strano perché nel mezzo del guazzabuglio di merda stereofonica che emergeva (qualcuno ha detto emerge?) in quegli anni era difficile trovare qualche radice ancora viva da cui trarre linfa, trovare una strada per della buona musica che inevitabilmente faceva parte degli anni passati. E allora era un continuo ricercare, un continuo informarsi da cugini più grandi (i suoi) o chissà quale altro modo. Il fatto è che mi ricordo che faceva caldo, faceva caldo e io avevo i jeans strappati. Ricordo che mi osservavo le ginocchia fuoriuscire dal tessuto mentre qualche ciocca lunga dei capelli mi copriva parzialmente la visuale. Ed eravamo lì, nella macchina di qualche amico con qualche anno di più e ascoltavamo un pezzo mancante della nostra enciclopedia musicale, un'enciclopedia che partiva dalla musica e ci entrava nella testa. E si, cazzo, ci mancava quel pezzo e l'effetto fu dannatamente strano. Avevamo vissuto per anni ascoltando un genere ,che si va bene usato e usurpato per i milioni che ci si è riusciti a fare, ma che in fondo aveva un'anima sua, una sua anima forte, ed ora scoprivamo una nuova origine, e dunque un nuovo significato. Me lo guardavo, il mio amico, mentre trafficava nella sua borsa colorata e mentre tirava fuori della plastica consumata, eppure mai usata: <<Questo è il cd dei Mother Love Bone, credimi che sono incredibili>> e mentre lo infilava nell' auto-stereo plasticoso mi chiedevo se mi avessero fatto l'effetto che mi faceva tutta la musica che mi aveva passato fino a quel momento, ovvero nausea iniziale e poi adorazione incondizionata. Ma quella volta lì sapore di quelle note fu del tutto diverso. In quel caso si trattava delle origini, di un principio privo della nostra stessa conoscenza.



Ed era lì che mi guardavo le ginocchia fuoriuscire dal jeans, era quel momento, piegato su di un sedile d'una macchina, che pensai ingenuamente che quel momento non sarebbe finito, che non sarebbe finito almeno per una volta nella vita l'ascolto d'un cd. Ma io e le mie ginocchia ci sbagliavamo. Ma la cosa più assurda è che la mia mente unisce questo momento con un altro, temporalmente e spazialmente distinto, come fossero avvenuti all'unisono. In un altro momento, in un altro luogo e su di un'altra auto sempre lui, sempre lo stesso, caro, amico, tirò fuori dalla medesima borsa un'altro cd di plastica consumata. Guardandomi, sembrava commuoversi: <<Questo è il cd commemorativo...per quel tizio lì...di quel gruppo là...i Mother...>> e allora tutto, nella mia mente, prese a girare e a funzionare come un circolo, come un cerchio dove l'inizio diviene inevitabilmente la fine, e dove nel mezzo, non potevano che esserci le mie ginocchia, spuntare sempre dagli stessi, dilaniati, jeans. 


E lì in mezzo, nei jeans rotti, nei capelli lunghi, brutti e arruffati, nel sapore delle sigarette che poi non fumavo, nelle automobili spartane quanto affascinanti e, soprattutto, in una musica che mi s'attaccava alla pelle più d'ogni altra cosa, lì in mezzo si nasconde ancora una parte di me che non muore. Anche se ad oggi è difficile da scorgere, sepolta sotto le difficoltà, sotto le delusioni, sotto le crescite obbligate. Sotto tutti gli anni che, lentamente, passano, c'è ancora una parte di me che grida le stesse note di quegli anni là.


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