Resina di un certo livello...

mercoledì 10 agosto 2011

L'estensione dello spazio

Ricordo distintamente che qualche anno fa desideravo la grande città, desideravo il flusso continuo di persone e l'avvicendarsi delle loro facce. Credevo che in questo modo avrei incontrato le loro menti, tante menti. Ricordo distintamente come ritenessi che la grandezza d'un luogo rivelasse le sue possibilità, racchiudesse implicita tutte le coincidenze della vita. Ero certo che la scelta del mio nido sarebbe stata quella della grandezza, sarebbe stata la metropoli. Sono passati anni da quei pensieri, sono passati studi, litigi, brindisi al vino rosso, sigari ardenti e solitari; sono passate le stagioni all'ombra della riflessione ed ora non mi riconosco più in quel pensiero ma, inaspettatamente, nel suo opposto. Dico inaspettatamente perché nella mia testa ho combattuto tutta la vita per l'idea che tutto dovesse essere più grande (big is better!), meglio di quanto non fosse (e non importa come fosse), una sorta di spietato progressismo senza meta, un progressismo la cui meta è l'orizzonte. Ma sono arrivato ora ad un punto in cui quello spietato progressismo non c'entra più nella mia testa, non riesce più ad entrare... E' come se mi fossi accorto che la meta che tanto cercavo pur non vedendola mai fosse divenuta ora il mio stesso punto di partenza, come in un percorso in linea retta su di una superficie sferica. Mi sono accorto d'improvviso che non esiste meta, e non per la distanza epica alla quale la poniamo, ma semplicemente perché non esiste. Avevo esteso lo spazio ideale nel quale vivere: non bastavano mille, diecimila, ventimila case, non bastavano un milione o due milioni di abitanti, volevo il meglio di qualsiasi meglio. Ora, però, quest'estensione inizia a ritrarsi. Il mio spazio inizia a tornare un punto.

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