Resina di un certo livello...

domenica 28 agosto 2011

La psicologia del granito

Le frasi più belle ci vengono dette nei momenti più inaspettati; quando sei lì, con la palpebra mezza calata disinteressato ecco che ti viene spiegato qualcosa che ti sei sempre chiesto e che ti torna in mente come un martello sul chiodo dei pensieri. Alcuni anni fa durante una lezione, all'università, sulla psicofisiologia del sonno tra schizzi noradrenergici e serotoninergici il professore se ne uscì con qualcosa di inatteso: disse che la nostra tendenza a vedere delle immagini significative nei tipici puntini delle mattonelle, sarebbe in realtà la tendenza del nostro cervello (se volete "mente" ma il sunto non cambia) a dare significato alle cose, la tendenza alla comprensione. 

Quando guardiamo una lastra di granito, in un primo momento i puntini ci appaiono per quello che sono, ovvero la causale distribuzione di diverse colorazione, ma poco dopo saltano alla vista piccoli raggruppamenti che ricordano forme geometriche, oggetti, e addirittura volti. Un po' come  accade quando osserviamo le nuvole; non sono davvero a forma di coniglio, eppure... Ad ogni modo questa frase mi torna in mente ciclicamente, più per la sua profondità umana che per la sua valenza scientifica. Mi sembra che oltre al granito questa caratteristica sia estendibile anche agli eventi e alle persone; mi sembra che la nostra necessità di dare significato alle cose, delle volte davvero senza significato alcuno, faccia parte della nostra stessa natura. Come se non potessimo fare a meno di riempire di noi stessi il mondo che ci circonda. Difronte a questo enorme granito dobbiamo pur cogliere qualche significato...

martedì 16 agosto 2011

Tom Waits - Come on up to the house




Well, the moon is broken and the sky is cracked
Come on up to the house
The only things that you can see is all that you lack
Come on up to the house

All your crying don't do no good
Come on up to the house
Come down off the cross, we can use the wood
You gotta come on up to the house

Come on up to the house
Come on up to the house
The world is not my home
I'm just a-passing through
You got to come on up to the house

There's no light in the tunnel, no irons in the fire
Come on up to the house
And you're singing lead soprano in a junkman's choir
You got to come on up to the house

Does life seem nasty, brutish and short
Come on up to the house
The seas are stormy and you can't find no port
Got to come on up to the house, yeah

You gotta come on up to the house
Come on up to the house
The world is not my home I'm just a-passing through
You got to come on up to the house, yeah

You gotta come on up to the house
Come on up to the house
The world is not my home
I'm just a-passing through
You got to come on up to the house

There's nothing in the world that you can do
You gotta come on up to the house
And you been whipped by the forces that are inside you
Gotta come on up to the house

Well, you're high on top of your mountain of woe
Gotta come on up to the house
Well, you know you should surrender, but you can't let it go
You gotta come on up to the house, yeah

Gotta come on up to the house
Gotta come on up to the house
The world is not my home I'm just a-passing through
You gotta come on up to the house

Gotta come on up to the house
You gotta come on up to the house
Yeah yeah yeah

mercoledì 10 agosto 2011

L'estensione dello spazio

Ricordo distintamente che qualche anno fa desideravo la grande città, desideravo il flusso continuo di persone e l'avvicendarsi delle loro facce. Credevo che in questo modo avrei incontrato le loro menti, tante menti. Ricordo distintamente come ritenessi che la grandezza d'un luogo rivelasse le sue possibilità, racchiudesse implicita tutte le coincidenze della vita. Ero certo che la scelta del mio nido sarebbe stata quella della grandezza, sarebbe stata la metropoli. Sono passati anni da quei pensieri, sono passati studi, litigi, brindisi al vino rosso, sigari ardenti e solitari; sono passate le stagioni all'ombra della riflessione ed ora non mi riconosco più in quel pensiero ma, inaspettatamente, nel suo opposto. Dico inaspettatamente perché nella mia testa ho combattuto tutta la vita per l'idea che tutto dovesse essere più grande (big is better!), meglio di quanto non fosse (e non importa come fosse), una sorta di spietato progressismo senza meta, un progressismo la cui meta è l'orizzonte. Ma sono arrivato ora ad un punto in cui quello spietato progressismo non c'entra più nella mia testa, non riesce più ad entrare... E' come se mi fossi accorto che la meta che tanto cercavo pur non vedendola mai fosse divenuta ora il mio stesso punto di partenza, come in un percorso in linea retta su di una superficie sferica. Mi sono accorto d'improvviso che non esiste meta, e non per la distanza epica alla quale la poniamo, ma semplicemente perché non esiste. Avevo esteso lo spazio ideale nel quale vivere: non bastavano mille, diecimila, ventimila case, non bastavano un milione o due milioni di abitanti, volevo il meglio di qualsiasi meglio. Ora, però, quest'estensione inizia a ritrarsi. Il mio spazio inizia a tornare un punto.

lunedì 1 agosto 2011

L'inutilità della puntualità

Mi piace pensare difronte ad un appuntamento che la puntualità non sia poi una condizione di intrinseca necessità. L'altra notte ho acceso la tv (ottimo modo per tentare di dormire, che poi ogni tanto ti regala anche qualche cosa di interessante) e c'era una sorta di documentario sullo stile di vita "surfistico". C'era questo tizio che diceva senza fronzoli che non importa quello che stesse facendo, con chi stesse parlando e quale appuntamento dovesse rispettare, se vedeva la giusta onda da cavalcare lasciava tutto, e andava. Semplicemente, andava. Va bene, il surf è figo, ma andatelo a dire quello che attende all'appuntamento. Ma al di là del poveretto che aspetta (e aspetta...) è il senso della puntualità che sfugge da questo quadro. Se ragionassimo come robot, come calcolatori o come menti del tutto logiche probabilmente ad ogni appuntamento arriveremmo puntuali, per ogni incontro ci programmeremmo in modo tale da fare la puntualità la nostra regola. Generale, come ogni nostra funzione fisiologica che diviene poi, nell'arco della nostra vita, una vera è propria funzione mentale imprescindibile, come il mangiare, il sesso e via discorrendo... Invece no. Distribuiamo i nostri appuntamenti tra i ritardi che diventano sempre più accidentali, quasi mai intenzionali. Qualcuno ne è succube tanto quanto colui che aspetta all'appuntamento, qualcun'altro invece lo vive a cuor leggero, non accorgendosene neppure. Qualcuno ne fa addirittura una questione inconscia, alcuni ne fanno una "discussione" col proprio ego. Altri invece incolpano la propria attenzione, che si appiccica su tante e tante cose, che è difficile guardare in tempo l'orologio. In tutto questo marasma, figuriamoci quale utilità possa avere essere puntuali, arrivare al momento giusto di lancette regolate in maniera impropria, su principi imprecisi che non tengono conto della soggettività del tempo... La puntualità serve solo per i calendari.
Parola di un tipo puntuale.